In alimentazione può essere molto importante conoscere quali sono le percentuali residue di alcool che restano alla fine della preparazione di ogni ricetta. In molte ricette, infatti, soprattutto in molti piatti tradizionali della nostra cucina, è presente una discreta quantità di alcool che viene usata, in diverse concentrazioni, per adeguarne, ad esempio, il sapore o per fornire il giusto grado di acidità alla pietanza.
Nella maggior parte dei casi si tende a utilizzare vino per la cottura di determinati tipi di carne, oppure alcuni tipi di liquore in alcune ricette preparate con pasta. I motivi che spingono molte persone a domandarsi se in alcuni casi siano state utilizzate determinate sostanze alcoliche sono diversi, ma quasi tutti hanno a che fare con la condizione di salute del consumatore.
È sempre sconsigliata l’assunzione di alcool per soggetti che soffrono di particolari patologie croniche e che si trovano a dover assumere, quotidianamente alcuni tipi di farmaci. Così come è sempre meglio evitare l’assunzione di alcool per donne in gravidanza o che si trovano nella fase dell’allattamento.
Esiste un quadro preciso che va considerato relativamente all’assunzione di alcool che interessa la quantità di etanolo che questo può contenere. Dal punto di vista puramente nutritivo questa sostanza non ha alcun valore, ma è in grado di fornire 7kcal per grammo assunto.
Questi numeri sono variabili a seconda della tipologia di sostanza e in base a gradazione alcolica. Bisogna distinguere tra:
- fermentati: che corrispondono, ad esempio, a circa 13gr di alcool in una lattina da 330cl di birra e a 11gr in un bicchiere di vino da 120ml
- distillati: che possono corrispondere, ad esempio, a circa 9,5gr di alcool in un bicchiere di whiskey da 30ml
- liquori: dolci o secchi, che vengono spesso utilizzati in cucina
Queste quantità, specifiche o valutate “a occhio” durante la preparazione, hanno un grado di ebollizione e, quindi, di evaporazione differente a seconda di diversi fattori che determinano, alla fine della preparazione, la quantità di alcool che effettivamente rimane come residuo all’interno del preparato.
Le “Tabelle dei fattori di ritenzione di nutrienti”, sviluppate anche grazie ai dati raccolti nel 2002 da J. Augustin, e comprese nella revisione del Dipartimento americano dell’agricoltura (USDA), hanno evidenziato come, contrariamente a quanto si credeva, non si verifica la completa evaporazione dell’etanolo alla fine della cottura.
Attraverso queste tabelle è possibile notare come, dal 15% al 95% dell’alcool utilizzato durante la cottura tenda a rimanere nella preparazione, senza evaporare. A questo riguardo, per giustificare una forbice così ampia nelle percentuali, è utile evidenziare alcuni fattori che possono intervenire nel cambiamento di questi valori, tra i quali:
- tempo di cottura
- composizione della ricetta
- misura del recipiente di cottura
Nel caso della misura del recipiente di cottura è di aiuto capire come questo fattore intervenga in maniera decisiva, in quanto minore sarà la superficie per l’evaporazione dei liquidi, per via dell’utilizzo di un recipiente piccolo, e maggiore sarà la ritenzione finale.
La USDA ha voluto fornire anche alcuni esempi specifici relativamente a questo fenomeno, considerando la modalità di cottura e associando a questa la percentuale di alcool residuo. Di seguito ne riportiamo alcuni:
- Alcool mescolato in un liquido caldo (es. Irish coffee) – 85%
- Flambè – 75%
- Alcool mescolato, lenta bollitura o cottura al forno per 15 min – 40%
- Alcool mescolato, lenta bollitura o cottura al forno per 30 min (es. cupcakes, risotto) – 35%
- Alcool mescolato e lenta bollitura o cottura al forno per 1h (es. preparazioni a base di carne) – 25%
- Alcool mescolato, lenta bollitura o cottura al forno per 2h e mezzo (stufato) – 5%
- Alcool miscelato in un alimento, senza cottura, lasciato a riposo per una notte – 70%